Uscire di casa a 24 anni per andare a lavorare non tornare mai più. L’ennesima tragedia sul lavoro si è
consumata ieri in provincia di Bari ed ha come vittima un ragazzo giovanissimo con contratto di apprendistato da
pochi mesi, morto mentre operava sul tetto del capannone di Industrie Fracchiolla S.p.A., azienda leader nella
produzione di serbatoi ed impianti in acciaio inox. Davide Di Gioia, questo il nome del giovane, era in compagnia di
un altro lavoratore, anch’egli giovane e con contratto di apprendistato. Stavano operando nei pressi dei lucernai per
installare delle griglie metalliche, pur avendo la cintura di sicurezza che evidentemente non era fissata. Perché questi
giovani lavoratori, apprendisti, operavano a quell’altezza? Perché questi giovani lavoratori operavano senza il
supporto di un lavoratore esperto? Quale era la mansione di questi giovani lavoratori ma, soprattutto, prima di
operare avevano ricevuto le istruzioni dovute ed era stata fatta una valutazione dei rischi? Come è possibile che due
giovani lavoratori apprendisti, e quindi non esperti, potessero operare ad un’altezza di 15 mt a un lavoro che peraltro
non è contemplato fra i lavori dell’azienda e che avrebbe dovuto eseguire qualcun altro?
Tanti, troppi interrogativi mentre l’unica certezza resta la scomparsa di un ragazzo di appena 24 anni.
L’industria Fracchiolla S.p.A. sta vivendo una fortunata crescita produttiva, con espansione nel mercato nazionale ed
internazionale, e con relativa crescita occupazionale. Tuttavia, alla sua crescita non corrisponde a nostro avviso uno
sviluppo, ovvero la capacità di generare un miglioramento complessivo che è, a nostro avviso, la possibilità di lavoro
in un ambiente positivo, dove sono assicurate le condizioni di salute e sicurezza, e l’esercizio dei diritti.
A più riprese abbiamo chiesto di aprire a relazioni industriali più avanzate, abbiamo sollecitato sulla necessità
e opportunità di avviare un tavolo di confronto di secondo livello, per una discussione complessiva su: gestione dei
carichi di lavoro, inquadramento professionale, premio di risultato, condizioni di sicurezza.
A tutt’oggi non abbiamo avuto riscontro e osserviamo piuttosto una gestione dell’organizzazione della
gestione del lavoro che richiama i primi del ‘900.
Siamo convinti che gli infortuni sul lavoro non siano mero frutto di tragiche fatalità. Siamo convinti che un
serio avanzamento per la diminuzione dei rischi sul lavoro, oltre che essere assicurato dagli organi di controllo, è
seriamente limitato quando un’azienda vede una vera dialettica tra la rappresentanza sindacale e quella aziendale.
L’esercizio del comando aziendale lasciato a se stesso produce errori fatali per la stessa azienda.
Siamo altresì convinti che le istituzioni quando si relazionano con le aziende hanno un ruolo delicato. Al
rilascio di denaro pubblico, per investimenti produttivi piuttosto che per corsi formativi, deve essere possibile un
riscontro. E’ doveroso riscontrare se queste misure generano un miglioramento complessivo delle condizioni di
lavoro e quindi anche dei diritti.
La Fiom e la Cgil di Bari sono vicini alla famiglia del giovane operaio morto.
Alle istituzioni non chiediamo proclami ma un impegno fattivo: l’apertura di un tavolo con ispettorato del
lavoro, Inail e Inps perché siano intensificati i controlli; alla Regione chiediamo che alle misure di investimento per
formazione (a cui troppo spesso le organizzazioni sindacali sono chiamate a svolgere il solo ruolo di firma) o altro, si
accompagni una verifica rispetto alle condizioni complessive di Sviluppo che queste dovrebbero comportare.
È vergognoso che in questo Paese si continui a morire sul lavoro mentre questo Governo fa un provvedimento
per togliere i contributi all’Inail. Noi non ci stiamo e gridiamo: basta morti sul lavoro!